Il romanzo musicale di Stravinskij: dall’esordio alla virata neoclassica

di Deborah Mega

Cinquant’anni fa, il 6 aprile del 1971, colto da un infarto, si spegneva a New York Igor Fëdorovič Stravinskij. Non fu affatto un bambino prodigio, si accostò infatti alla composizione dopo i vent’anni grazie alla conoscenza con Rimskij-Korsakov. Il padre, rinomato cantante dell’Opera Imperiale di Pietroburgo, pur facendogli studiare legge, laurea che Igor conseguì nel 1905, gli aveva trasmesso l’amore per la musica e lo aveva indirizzato allo studio del pianoforte e dell’armonia, studi che Stravinskij volle continuare da autodidatta, fino all’incontro con Rimskij-Korsakov. Da lui Stravinskij apprese l’estensione, il registro dei vari strumenti impiegati nell’orchestra sinfonica e i primi elementi dell’arte di orchestrare. La Sinfonia in mi bemolle, dedicata al suo maestro, mostra tracce del suo influsso ma anche di Glazunov, compositore apprezzatissimo per la perfezione della forma e la purezza del contrappunto, di Richard Strauss nel piglio del tema iniziale, di Beethoven per l’elaborazione del tema secondo la tecnica dello sviluppo, del cromatismo wagneriano, assimilato e in seguito superato dopo averlo portato all’estremo sviluppo.
Lo Scherzo ricorda il Volo del calabrone di Rimskij-Korsakov, il Trio fa pensare a Mussorgskij ma anche a Borodin per giungere al finale che ricorda l’accademismo romantico di Caikovskij. Si inaugurava quello che fu definito “periodo russo” considerato come il momento di maggiore vicinanza alla cultura di origine mentre per Stravinskij rappresentava una grande apertura all’occidente. Agli stessi anni, 1906-07, risale la composizione della suite Le Faune et la Bergère op.2 per mezzosoprano e orchestra su testo di Puškin. Qui si manifesta l’influsso dell’impressionismo francese, di Dukas, Ravel, delle strutture esatonali di Debussy. L’esperienza della scuola francese si intensifica nello Scherzo fantastique op.3, in cui all’inizio della partitura è precisato il fatto che sia ispirato alla Vita delle Api di Maeterlinck. In realtà lo stesso Stravinskij negò di aver mai evocato nella sua opera la vita nell’alveare, trattandosi invece di un brano di musica sinfonica. Del resto, quale allievo di Rimskij-Korsakov l’avrebbe fatto? Lo Scherzo fantastico viene considerato come il primo lavoro importante di Stravinskij per la ricchezza armonica e timbrica e il virtuosismo dell’orchestrazione. Nel 1908, in occasione del matrimonio della figlia di Rimskij-Korsakov col compositore Steinberg, Stravinskij compone la fantasia per orchestra Feu d’artifice in cui ricompaiono le caratteristiche formali dello Scherzo fantastico e i tratti distintivi della sua personalità, il taglio netto dei motivi, l’impasto timbrico, le sovrapposizioni politonali, l’incisività del ritmo, gli spostamenti degli accenti.
Non si tratta di un brano improvvisato impressionisticamente, l’apparente libertà fantastica in realtà cela una costruzione capillare attenta a ogni particolare. Tre anni prima che Schoenberg se ne avvalesse nel Pierrot Lunaire, Stravinskij realizzava il suo fuoco d’artificio contrappuntistico. Il tema di quattro battute sulla dominante viene esposto dai corni, poi dalle trombe, a partire dalla diciassettesima misura in poi; i motivi che compongono il tema compaiono in successione fino all’esposizione dello stesso sulla dominante in forma retrograda e infine nella forma originaria sulla tonica.
Allo stesso periodo appartengono il Canto funebre per coro e orchestra, sulla morte di Rimskij-Korsakov andato perduto durante la Rivoluzione, i Due Canti op.6 per mezzosoprano e pianoforte, che ricordano lo stile vocale di Musorgskij, i Quattro Studi op.7 per pianoforte in cui affiora qualche inflessione chopiniana e il vocalizzo per canto e pianoforte intitolato Pastorale. La predilezione del compositore per questo brano è testimoniata dalle numerose trascrizioni per oboe, corno inglese, clarinetto, violino e piano. A proposito del Canto funebre lo stesso compositore ne parla nei Memories come del migliore dei suoi lavori prima de L’oiseau de feu e “del più avanzato nell’armonia cromatica”. 
La nascita dei due balletti, L’Uccello di fuoco e Petruška sono strettamente legati al nome di Sergej Djagilev, abile mecenate, impresario e scopritore di talenti. In quegli anni Djagilev preparava la stagione della sua compagnia di balletti; dopo una sola audizione dei Fuochi d’artificio commissionò a Stravinskij l’orchestrazione di due brani di Chopin da integrare nel balletto Le Silfidi con cui si inaugurava nel 1909 la gloriosa stagione dei Balletti Russi a Parigi. Poco dopo gli affidò la composizione di un balletto il cui argomento fu tratto da M. Fokin da un’antica fiaba russa dell’Uccello di fuoco e composto da una Introduzione e due quadri. Vi predomina l’intervallo di tritono, incontrastato diabolus in musica, mentre a partire dall’undicesima battuta risuonano accordi da cui germinerà la configurazione armonica di Petruška. Stravinskij si avvale di tre temi popolari russi e di motivi diatonici che indulgono al gusto ottocentesco dei Cinque e a Caikovskij. La musica, secondo le intenzioni del compositore, doveva seguire l’azione scenica con intenti descrittivi. Nella partitura si ritrovavano oltre al colorismo orchestrale, i riferimenti orientaleggianti che avevano reso famoso Rimskij-Korsakov con Shéhérazade. Le forze del male e del bene sono rese rispettivamente con scritture cromatiche e diatoniche. La prima rappresentazione dell’Uccello di fuoco fu data dai Balletti di Djagilev all’Opéra di Parigi il 25 giugno 1910. Il successo fu strepitoso, segnò una tappa importante nella carriera di Stravinskij e stimolò in Djagilev la creazione di opere d’arte sempre più nuove e originali. Durante la composizione de l’Uccello di fuoco, Stravinskij narra, nelle Cronache della mia vita, di aver avuto la visione di un fantoccio scatenato che esaspera la pazienza dell’orchestra, la quale a sua volta replica con fanfare. Segue una tremenda colluttazione e infine l’afflosciamento dolente del povero fantoccio. Djagilev suggerì di sviluppare quel dialogo tra piano e orchestra in un nuovo balletto, così il fantoccio divenne Petruška, il burattino sconfitto proveniente dalla figura di Pierrot più che dalla tradizione popolare russa, mentre l’orchestra riproduceva i suoni da fiera russa del giovedì grasso. La sovrapposizione di due arpeggi maggiori, do maggiore in posizione fondamentale e fa diesis in posizione rivoltata, ha spinto in molti a parlare di scrittura politonale anche se in realtà non si trattava del primo esempio di questo tipo nella letteratura musicale, basti pensare ai Concerti Brandeburghesi di Bach. Le dissonanze di seconde maggiori e minori producono un risultato sonoro burlesco e allo stesso tempo dolente, il compositore adotta un modo che ammette solo tre trasposizioni tanto che Messiaen parlò di “modo a trasposizioni limitate”. All’epoca imperavano il sinfonismo postwagneriano e lo sfumato impressionistico, pertanto le sonorità spigolose e taglienti di Petruška, con il pianoforte trattato in modo percussivo e gli archi che eseguono i passaggi cantabili e sentimentali, apparvero rivoluzionarie. Stravinskij però passò oltre, un altro compositore avrebbe continuato a sfruttare il successo componendo sulla stessa falsariga, lui invece lasciò questo compito ai suoi epigoni. Emerge poi un altro aspetto innovativo: il contrasto tra l’allegria sfrenata del Carnevale e la magia di un teatrino di marionette in cui i personaggi (Petruška, la Ballerina e il Moro) acquistano sentimenti umani. Per la ricchezza degli effetti di colore e per la vitalità dirompente del ritmo la produzione di questo periodo venne definita “fauve” come l’omonima corrente pittorica. Il balletto fu rappresentato con grande successo nel 1911 con scene di Alexandre Benois e coreografie di Fokine. In Petruška la tonalità tradizionale è abbandonata a favore di scale modali difettive, spesso ridotte all’ambito di quarta o di quinta. Un altro aspetto caratteristico di Petruška è la deformazione grottesca e ironica di musica preesistente di livello non colto. 
Precede Le Sacre du Printemps la cantata Il Re delle stelle, su testo di Balmont e dedicata a Debussy, che restò stupefatto per l’estrema complessità armonica e previde che sarebbe stata incompresa come infatti avvenne per almeno quattro decenni. In essa si attua la concezione di Stravinskij dell’arte come di “una realtà ontologica”, concetto che svilupperà nella Poétique musicale insieme a diverse affermazioni che suscitarono scalpore come l’impotenza della musica “a esprimere alcunché”. Alla stesura e alla redazione della Poétique musicale partecipò come consulente e traduttore di pensieri Pierre Suvčinskij, creatore dell’eurasismo, progetto di equilibrata fusione culturale tra occidente e oriente. La Poetica è un ciclo di conferenze che Stravinskij tenne nell’anno accademico 1939-40 per gli studenti dell’Università di Harvard, negli Stati Uniti. Il testo è un’esposizione chiara di riflessioni e concetti su argomenti come il wagnerismo, l’opera verdiana, il gusto musicale, il processo creativo, l’improvvisazione e la composizione, la funzione della critica musicale. 
La prima esecuzione de La Sagra della Primavera ebbe luogo il 29 maggio 1913 al Théâtre des Champs-Elysées di Parigi e generò il più memorabile scandalo che la storia della musica abbia mai registrato, tanto da causare liti e risse tra il pubblico. Lo spiazzamento prodotto generò fiumi di inchiostro, i critici dell’epoca discussero su quale strumento intonasse le prime note ed ebbero difficoltà a riconoscere i vari timbri. Si trattava di una Suite in tredici movimenti, attraverso la quale si rendeva la crudeltà barbara dei riti pagani con cui i russi celebravano l’avvento della primavera e che culminavano nel sacrificio di una vergine. Quella di Stravinskij era una primavera vista dalle stesse viscere della terra che si riproducono sprigionando oscure forze telluriche. L'orchestra di oltre cento elementi scioccò il pubblico con la forza travolgente dei suoi ritmi come pure le citazioni etnologiche tratte da motivi popolari russi. Le risse nei teatri parigini erano una consuetudine, era capitato alla prima dell’Ernani di Verdi e del Tannhäuser di Wagner. Le Sacre du Printemps però generò tumulti più grandi, la tessitura sonora, la sequenza velocissima di ritmiche inusuali in 7/4 e 11/4, la dissonanza, l’ossessività del pezzo, la violenza politonale dell’armonia furono scambiate per bizzarrie e provocazioni intenzionali e oltraggiose. Si dice pure che la coreografia di Nijnskij, che da ballerino si era improvvisato coreografo, sia stata inadeguata e abbia contribuito ad irritare il pubblico. Stravinskij per tutta la vita imputò gran parte di quell’insuccesso proprio alla coreografia del balletto, pesante e artificiosa.
L’opera non ha un soggetto drammatico coerente perché è costituita da quadri staccati relativi a riti propiziatori della Primavera.
La Sagra rappresenta per la musica lo stesso punto di svolta che per la storia del teatro hanno i Sei personaggi in cerca d'autore di Luigi Pirandello, rappresentati per la prima volta il 9 maggio del 1921 a Roma. Stravinskij rifiutò l’epiteto di “rivoluzionario” spinse l’orecchio, i gusti del pubblico e la cultura dominante oltre i confini di un conformismo musicale che aveva esaurito la sua forza espressiva. Solo un anno dopo la Sagra fu eseguita a teatro ottenendo un successo travolgente ma il suo vero posto è nelle sale da concerto perché “opera di genio” come disse M. Ravel, musica assoluta che non necessita di alcun complemento visivo. 
Nel 1914 Stravinskij completò l’opera Le rossignol in tre atti, su testo di Andersen, di cui aveva composto un atto prima del soggiorno parigino. La corte cinese è resa da un’orchestrazione leggera e luminosa in contrasto con l’impegno sonoro della Sagra.
A questi anni e fino al 1920, risale il soggiorno svizzero di Stravinskij presso il lago di Ginevra, l’isolamento riaccese in lui l’interesse per la tradizione popolare russa. In quest’opera di ricostruzione del linguaggio popolare gli fu vicino il poeta svizzero Ramuz che gli approntò i testi francesi delle Noces di Renard e dell’Histoire du soldat. Il pensiero dominante di questi anni fu il balletto Les Noces (Le nozze) in quattro quadri eseguite nel 1923 per i Balletti Russi. Lo svolgersi degli avvenimenti viene cantato dai quattro solisti o dal coro, sostenuti da quattro pianoforti e da un gruppo molto ricco di percussioni, strumentazione che rivela un gusto più lineare ed essenziale. Stravinskij faceva notare la mancanza di identificazione tra personaggio scenico e ruolo vocale. Con Renard sempre su testo di Ramuz, Stravinskij perseguì la più netta dissociazione di poesia, musica, scena, azione, per ottenere la liberazione di ciascun elemento evidenziando una concezione teatrale che si pone agli antipodi di quella wagneriana. L’azione appare sdoppiata secondo la tecnica del “teatro nel teatro”: nella cornice esterna c’è un cantastorie, circondato da clown, acrobati, danzatori; l’azione scenica invece rappresenta la storia del gallo che cade nelle grinfie della volpe finché non è difeso da tutti gli animali. L’orchestra è formata da archi, sette strumenti a fiato, percussioni e dal cymbalom ungherese di cui in quel periodo Stravinskij era letteralmente innamorato. Aveva ascoltato Aladar Racz, un virtuoso di quello strumento in un ristorante di Ginevra, si era procurato lo strumento e aveva perfino imparato a suonarlo. Sulla scia di Renard si colloca anche L’Histoire du soldat del 1918, che prevedeva un’orchestra da camera ridotta per la situazione economica di quell’ultimo anno di guerra e per le difficoltà dovute al sopraggiungere della spagnola che colpì anche il compositore. La partitura si presenta come un seguito di pezzi chiusi secondo l’idea della Suite, già sperimentata da Stravinskij nei pezzi pianistici a quattro mani. Ogni piccolo pezzo svolge una particolare idea ritmico-timbrica tanto da rendere L’Histoire un esempio compiuto di nuovo teatro musicale, basato sulla commistione degli stili.
Gli anni del dopoguerra segnano una svolta nella vita di Stravinskij che intraprese una fortunata carriera di direttore d’orchestra e di pianista. Allo stesso tempo, con due nuovi lavori: il balletto Pulcinella su musiche attribuite a Pergolesi e l’opera buffa Mavra, compiva la svolta neoclassica che, ancora una volta, disorientò i contemporanei. Stravinskij amava molto la musica napoletana e in particolare quella di Pergolesi “per il suo carattere popolare e il suo esotismo spagnolo”. Per Pulcinella, scene e costumi vennero forniti da Picasso, mentre la coreografia fu curata da Massine. 
Questo “neoclassicismo” stravinskijano assume il duplice aspetto della ricostruzione e della caricatura irriverente, mentre viene rivalutata la scrittura contrappuntistica alla maniera di Bach. È proprio nel campo della musica da camera che appare l’opera più interessante di questa nuova stagione, l’Ottetto per flauto, clarinetto, due fagotti, due trombe, due tromboni scritto tra il 1922 e il 1923 e i Trois pièces per clarinetto.   
Si propende verso una scrittura musicale lineare da cui discende anche la nuova importanza che il pianoforte acquista per il compositore in questi anni.
Il culmine di questa stagione può essere indicato nell’opera-oratorio Oedipus rex, che segna l’incontro con il classicismo di Cocteau, e nel balletto Apollon Musagète. Nella prima, in cui la lingua della rappresentazione è il latino, gli attori entrano ed escono trasportati da pedane mobili. Il neoclassicismo chiarisce meglio il proprio significato: è sprofondamento nella dimensione eterna del mito. Nel segno di un elegante edonismo si muove invece il balletto Apollon Musagète in cui avviene il recupero dell’orchestra di soli archi. La tendenza al neoclassicismo affiora anche nelle opere successive: Sinfonia in do, Sonata per due pianoforti, Sinfonia, e nei balletti Jeux de cartes e Orpheus.
In The Rake’s Progress (La carriera di un libertino) del 1951 vengono ricostruite le forme chiuse del melodramma italiano settecentesco con arie, duetti, recitativi. 
A partire dalla Symphonie des Psaumes Stravinskij utilizza il più severo modalismo e sempre per esigenza di rigore espressivo data la tematica religiosa, introduce il metodo dodecafonico nel Canticum sacrum ad honorem Sancti Marci nominis e in Threni: id est lamentationes jeremiae prophetae. Stravinskij riuscì a coltivare anche il jazz in Rag-time per 11 strumenti (1918), in cui adotta il ritmo sincopato, nella Piano Rag-Music (1919) dedicata a Rubinstein fino ad arrivare alla Circus Polka del 1942 e ad Ebony Concerto (1945) scritto per l’orchestra jazz di Woody Herman. 
Lo scoppio della guerra indusse Stravinskij a rimanere negli Stati Uniti, prima a Los Angeles poi a Hollywood. Nel 1962 fu invitato in Unione Sovietica per il suo ottantesimo compleanno: essere riconosciuto e acclamato in patria, dopo che in epoca stalinista la sua musica era stata definita esempio di “musica borghese degenerata”, significò per lui più di ogni altro successo. Morì quasi novantenne e volle essere sepolto a Venezia nel cimitero dell’isola di S. Michele, a pochi passi dalla tomba di Diagjlev.   
Su Stravinskij per decenni, dopo la condanna di Adorno, sono suonati come accusa il giudizio di eclettismo così come le contraddizioni tra impegno espressivo e oggettività sonora, tra recupero del passato e acceso modernismo. Secondo alcuni le diverse “maniere” derivavano da una carenza di forza creativa, secondo altri nonostante i mutamenti di stile, Stravinskij restava sempre identico a se stesso. Sarebbe forse più giusto parlare di “centri d’attrazione differenti” che si manifestavano ora simultaneamente ora alternativamente, e non si può certamente rimproverare la vitalità creativa o la capacità di sperimentazione ai compositori che la possiedono. È innegabile riconoscere l’incredibile ricchezza delle sue esperienze, la prolificità della sua produzione, la disponibilità continua a confrontarsi con i motivi culturali di altri ambiti e di altri tempi, infine l’interesse verso i nuovi mezzi di comunicazione con piena e consapevole assunzione delle difficoltà nel rapporto con il pubblico. Qualsiasi lettura degli scritti stravinskijani e qualsiasi disamina critica della sua carriera infine deve tener conto del fatto che il compositore, con l’avanzare degli anni, reinterpretò il passato alterando situazioni, adeguando giudizi a seconda del momento presente e occultando la parte più segreta del proprio dramma interiore.  I suoi stessi scritti critici subirono il vaglio di trascrittori, traduttori, interpreti del suo pensiero che subì trasformazioni e amplificazioni cospicue.