Capodimonte in musica: Carlo Sellitto, Santa Cecilia all'organo

di Riccardo Prencipe

Passeggiando nel Museo di Capodimonte, dopo essere frastornati dalla bellezza della Flagellazione di Caravaggio, inizia il lungo percorso attraverso quelli che furono probabilmente gli effetti devastanti di una personalità assai imponente nella Napoli del Seicento. Il passaggio è brusco anche agli occhi dello spettatore meno attento: si attraversano sale ricolme di una multicolore cultura cinquecentesca, ma dalla Flagellazione in poi il nero abbonda vistosamente, e la fascinazione per il povero e lo sporco sale. Tutti gli artisti indigeni si sentirono in qualche modo costretti a confrontarsi col grande maestro lombardo, accettandolo o provando a respingerlo. Tra questi la Santa Cecilia di Carlo Sellitto (fig. 1), pittore di origine Lucane, ma napoletano in toto, morto a soli 33 anni, il cui catalogo conta solo pochissime opere.

n. 1

Santa Cecilia, protagonista della scena, viene raffigurata senza particolari orpelli, né aureola, in pura aderenza caravaggesca: la santa era in primis una donna. Più che una donna comune è come se fosse una maestra di musica di uno dei quattro conservatori allora esistenti a Napoli (Santa Maria di Loreto, la Pietà dei Turchini, Sant'Onofrio a Capuana, i Poveri di Gesù Cristo), e gli angeli apteri sembrerebbero i suoi scolari, gli orfani, le cui anime venivano "conservate" in queste pie istituzioni religiose (da cui il termine “conservatorio”) e a cui veniva insegnata la musica da poter praticare durante le funzioni religiose.
La santa martire romana, vissuta nel III secolo, è considerata la protettrice della musica a causa di un'errata interpretazione, non della Passio, ma dell'antifona di ingresso della messa in suo onore. Il passo recita così: "Cantantibus organis, Cecilia virgo in corde suo soli Domino decantabat dicens: fiat Domine cor meum et corpus meum inmaculatum ut non confundar" (“mentre suonavano gli strumenti musicali, la vergine Cecilia cantava nel suo cuore soltanto per il Signore, dicendo: Signore, il mio cuore e il mio corpo siano immacolati affinché io non sia confusa”). Per dare un senso al testo lo si è sempre contestualizzato nell'ambito del banchetto di nozze di Cecilia col nobile Valeriano. Il passo è stato interpretato come se Cecilia stesse cantando davanti a Dio con l'accompagnamento dell'organo, "cantantibus organis". L'errore deriva dalla cattiva interpretazione del termine "organa", che nel V secolo indicava genericamente gli strumenti, e non l'organo propriamente detto. All'epoca l'organo era chiamato "Hydraulos" e funzionava ad acqua. Solo nel medioevo più avanzato la parola venne ad assumere il senso a cui siamo usi.
Inoltre, nei codici più antichi, il testo è così trascritto: "Candentibus organis" (invece di Cantantibus), in tal caso gli strumenti non sarebbero da intendersi come strumenti musicali, bensì gli "strumenti incandescenti", del martirio. L'antifona si riferirebbe quindi agli strumenti di tortura e al supplizio subito dalla santa durante il martirio. Alla luce di ciò è palese che il legame tra Santa Cecilia e la musica sia un vero e proprio errore tramandato, dato dall’erronea interpretazione delle fonti agiografiche.


Leggendo le numerose schede sull’opera ho notato che, a differenza delle abbondanti considerazioni stilistiche, molto poco è stato scritto dalla critica in merito agli strumenti musicali raffigurati nel nostro dipinto. Per quanto riguarda lo strumento adoperato da Santa Cecilia: si tratta di un organo positivo "ad ala" (cioè con le canne di sfiato decrescenti), azionato a mantice. Il mantice (uno strumento meccanico che produce un soffio d'aria, in questo caso nascosto all’interno del corpo di legno dell’organo) azionato da una corda (fig. 2). 

n. 2

 L'organo “positivo” è un'evoluzione del “portativo” medievale, che veniva suonato con una sola mano, mentre l'altra era impegnata nell'azionare il mantice (fig. 3). 


n. 3

Il “positivo” invece ha bisogno di due figure: un esecutore e un "tiramantice", che si occupa semplicemente di rifornire lo strumento d'aria in modo continuo. Nel nostro dipinto il tiramantice è il meraviglioso angelo di chiara ispirazione battistelliana, fù forse proprio questo meraviglioso dettaglio che suggerì al principale biografo dei pittori napoletani, Bernardo De Dominicis, l'antica attribuzione dell'opera a Battistello Caracciolo 
(fig. 2).
Mi pare importante sottolineare che il sistema per azionare l'aria, che poi produrrà il suono attraverso le canne, è tra i meno diffusi. Si tratta infatti di un mantice non visibile, azionato da una corda, a differenza dei numerosissimi casi di organi positivi dipinti, dove il mantice è a vista e viene sollevato direttamente dalle mani del tiramantice. In molti casi i mantici sono due, in modo da evitare momenti, seppur brevi, in cui la pressione dell'aria veniva interrotta, una sorta di respirazione a ciclo continuo. Nel nostro caso la tipologia è detta "a cuneo" o "a ventaglio", si tratta infatti di meccanismi che hanno una forma di ventaglio che si apre e chiude incamerando aria e spingendola poi verso il somiere. Questo tipo di meccanismi sono comandati da una corda che passa su una carrucola demoltiplicatrice. Il tiramantice con la corda alza il mantice che richiudendosi produce aria, In testa al mantice è posto un peso calcolato per ottenere la giusta pressione (fig. 4). 


n. 4

I mantici sono corredati da una valvola per l'ingresso dell'aria e una valvola che evita il ritorno dell'aria dal somiere. Rarissimi sono i precedenti pittorici per questa tipologia di tiraggio a corda, tra i pochi va sicuramente citato il caso di Tintoretto, le Donne musicanti alla Staatliche Kunstsammlung di Dresda (1566 circa)  (fig. 5). 


n. 5

In questo caso i mantici sono due, ma anche qui la tiramantice agisce tramite corde. Sia nel nostro dipinto che in quello di Dresda, i mantici non sono a vista, ma nascosti nel corpo dello strumento. Non mancherei di notare che in entrambi i casi alla fine della corda c'è un nodo, che serve a non fare "ingoiare" l'estremità della corda stessa all'interno della casa, e indica la fine del "espirazione" del polmone dello strumento. Altro esempio invece posteriore al nostro è il dipinto di Jacques Stella raffigurante lo stesso soggetto, al Musée des Beaux-Arts di Rennes, in Francia (fig. 6). 



n. 6

Si vedono chiaramente i due angioletti, uno che si rilassa dopo aver tirato il suo mantice, l'altro invece mentre tira la corda. (fig. 7)



n.7

La tastiera del nostro dipinto rispecchia le estensioni tipiche dell'epoca e pare dipinta in modo piuttosto accurato, con il Fa come nota iniziale (grave) e il si finale (acuto – fig. 2). Molto probabile che si tratti di uno degli organi menzionati nell'inventario dei beni lasciati dal pittore al momento della sua morte. Inoltre Sellitto aveva già dipinto un organo simile a questo nel ritratto di cantante gentildonna all'organo (in collezione privata), egregiamente schedato da Giuseppe Porzio nel catalogo della mostra sul Barocco.
Tra gli organi ancora esistenti a funzionamento simile citerei soprattutto il caso dell'organo positivo Ferdinando Picardi, oggi nella parrocchia di Santa Barbara alle Capannelle, a Roma.
L'intonazione del LA rimane difficile da stabilire in quanto variava molto da organaro ad organaro, solitamente era piuttosto bassa (432/439 Hz), rispetto all'odierna (440hz).
Le condizioni di conservazione del nostro dipinto non agevolano la lettura degli altri strumenti suonati dagli angeli apteri, ciononostante sono molte le informazioni che possiamo ricavare.
La sola figura non coinvolta nella rappresentazione musicale è la prima, che è anche l’unica a cercare un punto di contatto con l'osservatore. Il secondo angelo imbraccia quella che è probabilmente una viola da braccio. La tecnica che utilizza ricorda quella del più moderno "cello da spalla" (detto anche "viola da spalla" o "viola pomposa"), che ha l'estensione di un violoncello ma può essere suonato anche da chi ha poca esperienza nella posizione verticale  (fig. 8). 

n.8

Peculiarità singolare di questo strumento è il fatto che lo si tenga appoggiato sulla spalla destra (e non sinistra, come accade nella tradizionale imbracciatura violinistica). L'archetto viene impugnato dal basso, proprio come l'angelo del nostro dipinto (fig. 1). Alcuni strumenti che vengono impugnati alla stessa maniera si vedono nei dipinti di Veronese, anche se la forma è leggermente diversa e l'arco viene impugnato dall'alto. Potrebbe trattarsi di una viola, o lira, da braccio. Precedenti assai simili al nostro si vedono in almeno due dipinti di Marco Palmezzano raffiguranti la Vergine in trono fra santi (entrambi alla Pinacoteca Vaticana), in ambedue i casi l'angelo in basso suona quello che potrebbe essere un immediato antenato del nostro strumento esattamente con la stessa tecnica che vediamo nel dipinto di Sellitto (fig. 9). 



n.9

Tra gli esempi contemporanei al nostro non possiamo non citare il Re David di Guercino, oggi al Musée des Beaux-Arts di Rouen, spesso menzionato come David violinista, mentre si tratta palesemente di una lira da Braccio con i bordoni in bella vista (fig. 10).



n.10

Tornando alle figure del nostro dipinto: Il terzo angelo sta invece suonando uno strumento appartenente alla famiglia degli arciliuti (fig. 1). Visti i pochi dettagli a disposizione e la forte penombra è assai difficile dire con esattezza se si tratti di un arciliuto, tiorba, o chitarrone, strumenti appartenenti alla stessa famiglia. Ad ogni modo si tratta di uno strumento con due caviglieri (il cavigliere - l'odierna "paletta" - è l'estremità a cui si legano le corde mediante i chiavini per accordarle). Il primo cavigliere si utilizza per accordare le corde "tastabili" del diapason, quelle che l'esecutore può pigiare con le dita della mano sinistra modificandone l'intonazione, come una moderna chitarra, mentre il secondo cavigliere (detto tecnicamente "tratta") serve a tendere i "bordoni" ovvero quelle corde gravi che non sono tastabili dalla mano sinistra, ma vengono suonate esclusivamente come corde "a vuoto" (fig. 11). 



n. 11





Oltretutto l'invenzione dell'arciliuto risale alla fine del '500, anni che tornano benissimo con la cronologia di Sellitto. Tra i maggiori autori di musica per questi strumenti va sicuramente ricordato Alessandro Piccinini, o, rimanendo in patria, il caso di Gesualdo da Venosa, compositore napoletano celebre forse più per la sua violenta biografia che per le sue opere. Gesualdo morì nel 1613, stesso anno in cui la critica colloca il nostro dipinto.
L'ultimo angelo del nostro quadro tiene in mano uno spartito e canta (fig. 1), si vede bene che anche l'angelo tiorbista sta leggendo la partitura del canto, molto probabilmente per realizzare il basso continuo: una sorta di “armonizzazione improvvisata” (sulla base del gusto armonico dell’epoca) per accompagnare l’esecuzione.




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Per le informazioni tecniche sull'organo positivo ringrazio il costruttore di organi Stefano Buccolini; ringrazio inoltre Marino Barberio per la segnalazione del dipinto di Tintoretto e gli scambi in merito all'iconografia musicale. Ringrazio anche Madame Valérie Richardper avermi concesso di studiare in dettaglio il dipinto di Jacques Stella. Un sentito “Grazie” va anche all’associazione Amici di Capodimonte, in particolare a Stefania Albini, al direttore del Museo Sylvain Bellanger e a Linda Martino. Ringrazio infine Stefano Causa per i preziosi suggerimenti che mi elargisce oramai da lungo tempo.







[Questo scritto è un estratto della conferenza dal titolo “Suono su tela, breve ma veridica passeggiata tra gli strumenti musicali raffigurati nelle opere del museo di Capodimonte”, tenuta da chi scrive nel marzo del 2016].