Poesia e musica

di Sebastiano Aglieco

Non so quante siano le opere liriche incentrate sulla figura del poeta; sugli artisti, in generale, ne esistono tante: Il Benvenuto Cellini dell’omonima opera di Berlioz; l’Hoffman de I racconti di Hoffmann, di Offenbach; il poeta Rodolfo della Bohème pucciniana, anche se in questo caso deve contendersi il campo con le altre figure di artisti che lo circondano...

Certo, l’archetipo dell’opera, il prototipo, si basa proprio sull’immagine del poeta ancestrale, quell’Orfeo di Monteverdi che tanta influenza ha esercitato nei secoli successivi, battezzando l’opera come genere improntato alla musa della poesia lirica…

La figura del poeta è spesso spalmata qua e là, a volte, come contorno, personaggio secondario o salottiero; penso, ad esempio, al poeta Prunier, nella Rondine di Puccini - non credo che il trovatore verdiano possa essere considerato figura del poeta tout court, né, forse, neanche I maestri cantori di Wagner -.

Così l’Andrea Chénier di Giordano finisce per spiccare proprio a causa della centralità data al personaggio, il poeta Andrea Chénier, appunto, caduto ingiustamente vittima delle purghe della rivoluzione francese.

Mi ha sempre colpito e commosso di quest’opera bellissima, quanto egli dice nella prima grande aria del primo quadro: Un dì, all’azzurro spazio, rivolto a Maddalena di Coigny, la giovinetta che lo stuzzica per parlare di amore: “O giovinetta bella, d’un poeta non disprezzate il detto…”

In un altro passaggio dell’opera, questa volta cantato da Gérard, il lacché che già dal primo quadro si è ribellato alla contessa buttando a terra la sua livrea di schiavo e divenendo uno dei protagonisti della rivoluzione francese, nel discolpare Chénier, praticamente autoaccusandosi, dice con grande impeto, rivolto al tribunale dei giudici e alla folla che assiste al processo: “Là è la patria dove si muore con la spada in pugno, non qui dove si uccide i suoi poeti”.

Sono parole che riportano il dilemma dell’utilità della poesia fino ai nostri giorni; alle domande: “a che serve la poesia?”; “chi la riconosce?”.

Certo, dice Chénier: non disprezzate le parole della poesia, che non è serva, utile a imbellettare e divertire; che non reagisce a comando. E dice Gérard: la poesia non ha più patria, non ha più luogo dove abitare; la patria uccide i suoi poeti…

Questi bellissimi stralci ci riportano, insomma, a una riflessione accorata sulla serietà della poesia, sulla sua capacità di abbracciare senza essere costretta, di nominare senza essere chiamata in causa. La cosa straordinaria è che questo pensiero non è espresso semplicemente da parole, ma da parole che risuonano nel grande abbraccio della musica; si capiscono veramente solo nello sconvolgimento, nella “hybris” che la musica può realizzare.