«Chi teme, canta». Leopardi nello specchio dei suoni

di Mario Fresa





 «Dico che l'effetto della musica spetta principalmente al suono. Voglio intender questo. Il suono (o canto) senz'armonia e melodia non ha forza bastante né durevole anzi non altro che momentanea sull'animo umano. Ma viceversa l'armonia o melodia senza il suono o canto, e senza quel tal suono che possa esser musicale, non fa nessun effetto. La musica dunque consta inseparabilmente di suoni e di armonia, e l'uno senza l'altro non è musica. Il suono in tanto è musicale in quanto armonico, l'armonia, in quanto applicata al suono. Sin qui le partite sarebbero uguali. Ma io attribuisco l'effetto principale al suono perch'esso è propriamente quella sensazione a cui la natura ha dato quella miracolosa forza sull'animo umano (come l'ha data agli odori, alla luce, ai colori); e sebbene egli ha bisogno dell'armonia, nondimeno al primo istante, il puro suono basta ad aprire e scuotere l'animo umano. Non così la più bella armonia scompagnata dal suono. Di più se il suono non è gradevole, cioè non è di quelli a cui la natura diede la detta forza, unito ancora colla più bella armonia, non fa nessun effetto; laddove uno dei detti suoni gradevoli ec. unito ad un'armonia di poco conto, fa effetti notabilissimi...». (Zib. 1935). 

 

Suprema dolcissima illusione. Labirinto immaginoso della mente. Sembianza di abbandono. È la musica - il suono che diventa canto - a produrre, in Leopardi, l'autentica apparizione della bellezza (e del momentaneo ristoro dalla violenza cieca della vita). È infatti in virtù della musica che, spesso, l'anima - ridestandosi, e quasi improvvisamente rafforzandosi - «si immagina quello che non vede». L’abbandonarsi alla dolcezza dei puri elementi sonori dà vita, allora, a quella intima e struggente coincidenza, fondamentale in tutta l’opera leopardiana, di reazione poetica e di sperdimento di sé, di immaginazione e di stordente stupore, di incoscienza e di infinito, di rimembranza e di soavità. La musica e il canto, prossimi a dire l'inesprimibile, sanno perciò comunicare, con la loro ineffabile potenza evocativa, ben più dello strumento “finito” della parola; e una immediata, illusoria cessazione della pena dell’esistenza è, in questo modo, promessa, e permessa, a tutti i viventi: dall’inconsapevole fanciulla che fa udire «nelle romite stanze / l’arguto canto» (La vita solitaria) al greve carrettiere che va «cantando con mesta melodia / l’estremo albor della fuggente luce» (Il tramonto della luna); ché «Il puro suono basta ad aprire e scuotere l’animo umano» (Zib., 1935). Balsamo e farmaco temporaneo, luogo di felice cancellazione della propria coscienza (e, dunque, dei sempre delusivi desideri), la musica dona, finalmente, un inatteso mezzo di «intermissione della vita» all’uomo, trasformato in un novello Orfeo capace di controbattere, con la verticale bellezza di una melodia, la prepotente Natura distruttrice; sicché, dunque, «Chi teme, canta» (Zib. 3527): esibendo, così, un estremo e chimerico atto di ribellione contro la stessa crudele impermanenza della realtà; e contro la spietata, inarrestabile vanità del tutto.