C’è
uno spazio fisico, un luogo delimitato in senso longitudinale, che accoglie
spesso il suono destinato ad accompagnare una pellicola cinematografica,
chiamato "colonna" sonora per una determinazione vicina alle ragioni
dell’architettura prima ancora che alle visioni dell’autore.
La
storia del cinema è spesso legata al rapporto tra cineasti e compositori, un
legame non meno forte di quello stabilito con gli sceneggiatori, soprattutto
nel cinema europeo e sovietico dove il ruolo del regista corrisponde a quello
di artefice, a differenza del modello statunitense in cui la regia è, in larga
parte, il lavoro meccanico della messa in scena e poco altro disbrigo.
Un
esempio di questa attitudine è il Vorspiel wagneriano del Tristan und
Isolde posto da von Trier all’inizio di Melancholia come elemento
sonoro principale dell’intera opera: il mito di Tristano e Isotta è una storia
d’amore, ma soprattutto una vicenda dolorosa che inevitabilmente conduce alla
morte, che suggerisce nelle sue caratteristiche estetiche una scelta precisa,
una lettura condizionata rispetto alla simbologia del film, una struttura di
narrazione altra.
Tra i
musicisti che hanno collaborato a film di successo, un caso degno di nota è
quello di Arvo Pärt - autore, tra gli altri, di uno dei brani che
ritroviamo ne La Grande Bellezza di Sorrentino- che ha fatto scoprire ai
non addetti ai lavori l’esistenza di una produzione alta di musica nel XX
secolo.
Come
altri compositori che praticano la ricerca musicale con lo stesso metodo o con
gli stessi mezzi - John Tavener e Henri Górecki, ma anche Vladimir Ivanovich
Martynov, quest’ultimo più vicino ai canti religiosi russi- Pärt ha
caratterizzato più di ogni altro il filone noto come minimalismo sacro, una
musica in grado di evocare l’immateriale, l’incorporeo oltre l’aspetto fisico
della realtà, con la sottrazione ordinata dei mezzi
-nella
maggior parte dei casi, una progressione lineare melodica punteggiata da una
nota di basso- dove i cori, rivisitazione del canto gregoriano o della
polifonia rinascimentale, si fanno notare per la trasparenza e la
compostezza delle forme.
Le
tappe dell’itinerario umano e musicale di Arvo Pärt
sono numerose, l’infanzia a Rakvere, in Estonia, le trasmissioni di
musica classica di Radio Finlandia, il conservatorio di Tallin e Heino Eller,
l’espatrio, Vienna e la cittadinanza austriaca, Berlino; le prime composizioni
degli anni Sessanta, Tabula Rasa, le Sinfonie e il brano Pro et
Contra, quindi la lunga, assordante esplosione di fede del Credo.
L’opera
di Pärt è, in larga parte, l’esito della conversione alla religione
russo-ortodossa, il desiderio di fare silenzio dentro di sé, di isolarsi dalla
contemporaneità compiendo un viaggio a ritroso verso le origini.
La sua
musica sembra fatta per l’acustica di una chiesa, unico luogo dove esistano
particolari mondi della lentezza, Klangwelten der Langsamkeit, estranei
al moderno e alla sua inconsistenza.
Il
cuore della sua tecnica compositiva è basato sulla triade, l’accordo di tre
suoni formato dalla sovrapposizione di due intervalli di terza. E le due note
sopra la fondamentale della triade, la terza e la quinta, sono tra i suoni
armonici che si formano più frequentemente quando viene colpita una campana.
Da
questa ricerca è nato il principio del Tintinnabulum (una melodia che si muove
intorno a una nota centrale, come una corda di recita, contornata da note della
triade) che è diventato il tratto distintivo della sua musica.
Il
dettato, spoglio fino agli elementi essenziali, deriva dai primi polifonisti
europei, da Leoninus a Ockeghem e Obrecht, e conduce a sperimentare una tecnica
radicale di Perpetuum mobile su basi matematiche.
Anche
nei momenti più complessi, la scrittura di Pärt è fondamentalmente a due sole
voci: quella principale, che si potrebbe definire «melodia», e la seconda che
costituisce l’«accompagnamento» armonico, determinato a seconda del rapporto
tra la nota della voce principale e la triade prescelta, le cui note sono
generalmente situate sotto la «melodia». Ne consegue che i lavori di Pärt sono
sempre ancorati alla tonalità, ma con una continua oscillazione tra consonanza
e urto, con un profondo senso di unità nel legare melodia e accompagnamento.
Uno
degli esempi più suggestivi di questa tecnica è My Heart's in the Highlands,
composto per il cinquantesimo compleanno del controtenore David James, membro
di The Hilliard Ensemble.
Il
testo prende a prestito una poesia del poeta scozzese Robert Burns, trasmessa
nel canto sillabico su un'unica nota, con una parte vocale statica e una
armoniosa compensate dal dinamismo di un organo.
È
un’elegia senza tempo, un’espressione assoluta di sofferenza e di rimorso per
la perdita della casa di origine, per l’allontanamento forzato dal centro degli
affetti.
Non è
una sorpresa scoprire che il lamento di Robert Burns sia stato spesso cantato,
non da ultimo nell'adagio di Arvo Pärt, declinando solennemente il cuore e il
suo perimetro, perché esiste una connessione tangibile tra Heimat, la
piccola patria del poeta, e il bisogno esistenziale della controparte che
riguarda anche noi moderni di riflesso.
Non
possiamo sapere da dove abbia origine né dove sia diretto il desiderio del
narratore – potrebbe trattarsi di un luogo ideale qualunque, di un’altra
determinazione geografica che non corrisponda alle Highlands – ma non sarà necessario concentrarsi sul punto
essenziale della sua contemplazione, sul dettaglio biografico o sulle immagini
romantiche di ciò che l'eredità scozzese attribuisce in termini di identità:
“…The birth-place of Valour, the country of Worth “, o le Highland clearances,
l’esodo dalle Highlands per far posto a pecore e cervi, è sempre un canto del
poeta alla patria perduta, e un cammino del compositore al di fuori dello
spazio, nelle onde del tempo.
Per
Burns come in seguito per Walter Scott e Robert Louis Stevenson, la causa
comune della nazionalità guadagna un nuovo sostenitore, e lo stesso accade per
Part nella complessità delle vicende che hanno portato l’Estonia ad affrancarsi
dal regime sovietico.
L'uso
da parte del poeta dell’anafora, la ripetizione formale di frasi, agisce
suonando una campana di memoria identica a quella del compositore, che risuona
rafforzando la nostra comprensione, dicendo del significato di una realtà
che trascende i confini, della colpa e del perdono che riguardano il singolo
come tutta l’umanità.
(My Heart's in the Highlands Else Torp and Christopher
Bowers)
…Potrei
paragonare la mia musica alla luce bianca: essa contiene tutti i colori, solo
il prisma può dividerli e farli apparire. Questo prisma potrebbe essere l’anima
di chi ascolta” - Arvo Pärt.